Interviste

Strikkiboy, “Non serve parlare di vita di strada per essere real” – INTERVISTA

Strikkiboy è fuori da inizio marzo col suo nuovo disco Don’t  Try Strikki at Home per Time 2 Rap.  Nonostante si tratti di un debut album, almeno con questo nome d’arte, la carriera di Strikki comincia nel 2007 come Strikkinino. In questa intervista abbiamo cercato di capire come Strikki è cambiato parallelamente al suo nome e che tipo di disco ha proposto con Don’t  Try Strikki at Home.


Partiamo dal titolo: perché hai scelto Don’t  Try Strikki at Home?

Ciao a tutto lo staff del Rappuso e grazie dello spazio. Ho chiamato il disco così, un po’ per richiamare lo spot che mandavano durante gli eventi WWE in TV, ma anche per evitare che qualcuno mi scriva cose tipo “ma che esempio dai ai ragazzi”?!

Poi soprattutto perché quando si coltiva una passione si fanno tante rinunce e sacrifici, e da fuori si vede solo il risultato. Poi comunque suonava bene e mi sembrava originale.

Possiamo parlare di un debut album con il nome di Strikkiboy, anche se ti conosciamo per i tuoi progetti passati con l’alias Stikkinino. In che modo ti senti cambiato come artista e come persona rispetto ai tuoi progetti precedenti?

Si, possiamo parlare di un debut album. In precedenza, avevo pubblicato un EP di 5 tracce con Giorgia Leone, ma questo e il primo album ufficiale. Sicuramente sono cresciuto ed ho più consapevolezza di me stesso. Come artista in precedenza lavorando con la formazione Occhi Viola, tutto ciò che usciva erano progetti realizzati a quattro mani, perciò ora e tutto più mio.

Non mi sento di dirti che sono migliorato o che ho espresso meglio i concetti che volevo esprimere, preferisco che questa cosa la dica eventualmente il pubblico. Non mi piace farmi i complimenti da solo.

In questo Album, come nei precedenti, hai voluto raccontare molte sfaccettature di Tor Bella Monaca, tuo quartiere d’origine nella periferia est di Roma. Nel corso della tua carriera, come hai visto cambiare TBM e com’ è cambiato il tuo modo di raccontarla?

Del mio quartiere mi ispira tutta la composizione, proprio di Torbella è molto Hip-Hop. Naturalmente mi preme sempre molto dare un’immagine veritiera oltre la cronaca, non ci sono solo le piazze di spaccio, e ci sono molte realtà che nessuno è interessato a raccontare, cosa che per me andrebbe fatta.

Da TBM sono usciti degli sportivi molto validi, la prima stunt girl italiana e molte altre eccellenze. Si tratta di un quartiere eterogeneo, e spesso mi ispiro anche alle persone che mi sono vicine. Conosco tutti da prima del rap, sono nato lì e quella casa mia.

Girando per il tuo quartiere, quali sono le situazioni dalle quali ti viene naturale prendere spunto per i tuoi testi?

Mi interessa raccontare di ciò di cui non si parla abitualmente, ossia quanto c’è anche di positivo nelle periferie. Nel racconto di cronaca viene tralasciato -per esempio- il fatto di conoscersi tutti come un paesino, è una cosa che nelle grandi città non è più possibile.

Si tratta di una peculiarità delle periferie. Qui puoi stringere legami più stretti, confrontarti in maniera diretta con le persone. I rapporti umani sicuramente ne beneficiano.

Hai scelto di collaborare per questo progetto con artisti anche molto differenti tra loro, partendo da un rapper conscious come Kento e arrivando alla crew Back To The Roots, passando per il tuo socio di sempre Aurel, Jhonny Roy, Santo Trafficante e Delgado. Come hai scelto le persone che ti hanno accompagnato in Don’t  Try Strikki at Home?

Per i feat ho scelto tutte persone che stimo artisticamente e personalmente. Sono tutti artisti molto diversi tra loro, perché ho scelto in base alla tipologia di tracce pensando al risultato finale come unico criterio di selezione.

In Tor Bell Monsterz dici: “Per esse come noi le sparate grosse”. Credi che in questo periodo storico, nel rap, ci siano molti artisti o pseudo tali che raccontano di situazioni che non vivono realmente? E cosa pensi di questo fenomeno?

Adesso sono tutti banditi o miliardari. Credo che queste persone non vivano realmente quello che raccontano. Il rap deve portare un messaggio, deve parlare di qualcosa. Per essere real sembra che per forza si debba parlare di vita di strada, ma non è così. Poi è anche vero che cambiano i tempi e la percezione delle persone. Magari gli ascoltatori più giovani  si accontentano solo di frasi ad effetto.

Quali sono i feedback che stai ricevendo dopo l’uscita del disco?

Sto ricevendo molti riscontri positivi, devo dire che sono soddisfatto. Anche per quanto riguarda gli stream stanno andando meglio del solito, spero che tutto proceda sempre in salita.

Ti abbiamo visto molto spesso suonare live nella capitale, sia da solo che con varie formazioni, in passato. “Don’t  Try Strikki at Home”  è un disco che porterai nei palchi dal vivo? Hai già qualche data fissata nella quale potremo vederti?

Si sono in programma dei live, ho già presentato il disco lo scorso 15 marzo al Fennel Factory e il 12 aprile sarò al Freeda sempre a Roma. Ci saranno alcuni ospiti e saranno disponibili le copie fisiche, poi la serata è pure ad ingresso gratuito. Tutte le nuove date le troverete sui miei social.

Ci piace sempre conoscere artisti emergenti provenienti dalle periferie d’Italia. Hai qualche nome da consigliarci su giovani artisti del tuo quartiere che secondo te hanno la stoffa giusta per emergere?

Ne conosco vari in zona, ma preferisco non fare nomi. State tranquilli che presto ne sentiremo parlare.

Cosa consiglieresti a coloro che stanno provando ad emergere dai quartieri e da situazioni sociali complicate grazie alla musica?

Il mio consiglio e di pensare all’obiettivo. Tutti abbiamo problemi e situazioni scomode, perciò non bisogna fossilizzarsi sul problema, ma su come arrivare all’obiettivo. E poi di credere in sé stessi, questa è la cosa più importante. Liberarsi da tutto quello che non è positivo.

Federico

Steek nasce in un piccolo paesino della Sardegna negli ’80 per poi emigrare con la valigia di cartone e una sfilza di dischi hip-hop nella capitale. Durante la seconda metà degli anni ’90 viene folgorato dalla cultura hip hop in tutte le sue forme e discipline, dapprima conoscendo il rap Made in USA, arrivando poi ad appassionarsi al rap Made in Italy grazie ad artisti storici, quali: Assalti Frontali, Otr, Colle der fomento, Sangue Misto e molti altri. Fondatore della page “Il Rappuso” che lo porta a collaborare con tutta la scena rap underground italiana, mette la sua voce e la sua esperienza al servizio di LOWER GROUND con la trasmissione che prende il nome dalla sua creatura “IL RAPPUSO”.

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